ALBUM DEL MESE: “FIREPOWER” – JUDAS PRIEST
Le mode sono cicliche: a volte si rivedono nelle vetrine i pantaloni a zampa, a volte invece sembra di essere negli anni Quaranta. Ebbene, che siano tornati gli anni ’80 ce lo dice l’enorme successo di Stranger Things, ad esempio, o il fatto che nei negozi d’abbigliamento del centro vendano magliette dei Black Sabbath (che i miei studenti indossano senza sapere chi sono!!!). E mentre aspetto l’uscita dell’ultimo film di Spilberg mi godo questa provvidenziale congiuntura astrale ascoltando, sulle frequenze delle radio rock nazionali più “stilose”, le note potenti e famigliari di una delle più grandi (e storiche) band metal di sempre: i Judas Priest.
Il filo d’acciaio che lega il mio cuore alla formazione di Halford (“the Metal God”) e soci è tenace e ha tre lucchetti: Painkiller, a mio avviso il più bell’album metal di sempre che regge il duro confronto con i primi dei Metallica; Unleashed in the East, il concerto dei Judas Priest in Giappone nel pieno delle loro forze che sbaraglia quasi tutti gli altri album live del genere e infine Live insurrection, un altro disco dal vivo ma questa volta di Halford solista, che è stato forse l’album metal più ascoltato dal sottoscritto.
Ma veniamo a Firepower, l’ultimo album per Glenn Tipton, co-autore di quasi tutti i brani dei Judas e colonna portante della band fin dai suoi primi vagiti, costretto a lasciare il gruppo a causa del Parkinson. Si può combattere tutto tranne il tempo, come cantavano in Victim of changes, e l’inesorabile decomposizione degli AC DC ne è stata, ad esempio, una triste dimostrazione.
Questo peserà sul futuro indubbiamente, ma siamo qui, siamo vivi: godiamoci il presente e tributiamo loro la gloria che (ancora) meritano!
L’album, già dal titolo, si presenta “classic” fin nel midollo, con un suono compatto e aggressivo che era esattamente ciò che ci si aspettava. Halford canta con il solito carisma evitando furbamente di sfoggiare i suoi leggendari acuti, ai quali non è più in grado di dare la spinta di un tempo.
Il risultato è un capolavoro di equilibrio tra riff serrati, maestosi ritornelli e immancabili assoli pieni di tecnica e carattere che soddisfa puristi e neofiti.
Ma credo sia superfluo spendere troppe parole per un album il cui sviluppo è tutto racchiuso nella title-track e nel singolo Lightning strike.
Buon ascolto e buon headbanging!