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IS THIS THE LIFE WE REALLY WANT?

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Brevissima premessa personale sulla grande diatriba David Gilmour vs Roger Waters vs Pink Floyd vs mondo: io sono e sarò per sempre dalla parte di David Gilmour, contesto tutti quelli che con tono supponente dicono: “beh, i Pink Floyd sono Roger Waters” e gli rispondo “staminchia”. I Pink Floyd non sarebbero esistiti senza Gilmour come non sarebbero esistiti senza Waters. Punto.

Devo però ammettere a malincuore che, mentre il caro Roger Waters ha continuato la sua carriera seguendo un certo tipo di musica e facendo un certo tipo di esibizioni live, il buon Gilmour ha deciso di intraprendere una strada a dir poco pallosa (perdonami David sarai per sempre il mio amato).

Ok, ora posso parlare del disco, e che disco. Roger Waters, dopo ben 12 anni, torna con un lavoro di pregevole fattura: toccante, impegnato e meravigliosamente e palesemente pinkfloydiano; perchè diciamocela tutta:

Se scegli di fare i Pink Floyd, vinci a mani basse.

Roger Waters può permettersi di fare i Pink Floyd e lo fa benissimo e soprattutto fa benissimo, perchè è quello che il pubblico vuole. In Is This The Life We Really Want? ci sono brani che sembrano usciti direttamente da alcuni dei più grandi capolavori della storica band di Londra, due su tutti: The Final Cut e Animals.

L’album si apre con dei battiti cardiaci ed è subito Speak To Me di The Dark Side of The Moon, in sottofondo la voce invecchiata e come non mai pungente di Waters introduce all’album con queste parole: 

“Where are you now? Don’t answer that
I’m still ugly. You’re still fat. I’ve still got spots. I’m still afraid
Our parents made us what we are. Or was it God? Who gives a fuck; it’s never really over”

Il secondo brano Déjà Vu, così come Broken Bones, è un bellissimo proseguimento di The Final Cut: chitarra acustica, pianoforte ed archi sono gli ingredienti vincenti di Waters che, scakerati assieme danno vita a melodie uniche ed irripetibili che arrivano direttamente al cuore. Non mancano pezzi più isterici e psichedelici, a cui l’ex bassista dei Pink Floyd ci ha abituato; e così Picture That è la Dogs del 2017 con quegli echi e sintetizzatori d’altri tempi, il giro di basso di Smell The Roses è figlio perfetto di Have A Cigar ed infine Bird in a Gale è un perfetto connubio tra l’era di Wish You Where Here e quella di Animals.

Ora mi chiedo: è giusto ripercorrere ed analizzare un album del 2017 sulla base di vecchi successi? Sì, non è un diminuire il tutto, anzi. La tripletta finale è qualcosa di maestoso e liricamente sopraffino, un istantaneo groppo alla gola:

“She was always here in my heart
Always the love of my life
We were strangers, oceans apart
But when I laid eyes on her a part of me died”

Wait for Her, Oceans Apart e Part of Me Died è il trittico che non t’aspetti, ma che eleva il tutto ad un livello successivo. Qui, ancora una volta, la capacità di scrittura di Waters unita alla melodia ormai vincente (con tanto di gabbiani a lui carissimi), porta l’ascoltatore a riflettere sul perchè la vita è così difficile e spesso e volentieri vinta dalla tristezza e dalla malinconia.

“But when I met you, that part of me died
Bring me a bowl
To bathe her feet in
Bring me my final cigarette
It would be better by far to die in her arms
Than to linger
In a lifetime of regret”

Per molti Is This The Life We Really Want? può essere visto come un passo indietro da parte di Roger Waters, inteso nel senso di non essersi rinnovato ma di aver preso un qualcosa di vecchio e sicuro (i Pink Floyd) e di averlo riproposto. Ma in realtà, lo si può vedere come un gesto di intelligenza ed umiltà: riprendere ciò che di più grande ha fatto in passato e renderlo ancora un volta contemporaneo e vivo.

Scelte da noi per voiDéjà Vu, Picture That, Part of Me Died

 

Mario

Laureato in economia, ma ciò che amo veramente è la musica e provo anche a scriverci qualcosa. “A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata, a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie“ Follow @guerci_mario

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