ISLANDS (Deluxe)
La bolla del folk- rock music è già esplosa da un bel po’; la decade dominata dai vari Mumford And Sons, The Lumineers e vari altri barbuti con camicie a scacchi e cappello di paglia è già più che tramontata. Qualcuno però è passato inosservato ai più ed è arrivato sul grande mercato con qualche anno di ritardo: fine 2014 esce ISLANDS dei Bear’s Den, e qualche parola “a” riguardo merita di essere spesa.
La storia dei Bear’s Den è legata a doppio filo a quella dei Mumford. Kevin Jones (Bear’s Den) fonda nel 2006 insieme a Ben Lovett (Mumford) e a Ian Grimble la Communion Records, etichetta che si proponeva come vero e proprio crocevia per artisti e musicisti che cercavano un trampolino di lancio verso la grande industria musicale. Questa frequentazione (seppur limitata) del mondo discografico britannico aiutò molto i Bear’s Den a formarsi sia stilisticamente sia in termini di vero e proprio gruppo. Da qui in poi escono i primi EPs, iniziano i primi tour e le prime avventure, nel 2012 girano per gli Stati Uniti a bordo di un Volkswagen Campervans insieme a Ben Howard, negli anni successivi fanno da spalla ai “cugini” più grandi dei Mumford fino ad arrivare a maturazione, e quindi, al concepimento di ISLANDS.
Si parte forte. Il brano di apertura, Agape, è una ballata romantica dalle sonorità malinconiche. Si racconta del terrore di rimanere da soli, del terrore di perdere qualcuno e di non sapersi più riconoscere senza quel qualcuno. Il tutto è sorretto da un banjo e da un’acustica sferzante. Chapeau. Passa poco prima di trovare l’altra canzone degna di nota che porta nel titolo un po’ della nostra Italia, Above The Clouds Of Pompeii è il gioiello dell’intero album. Le danze sono aperte da un fingerpicking celestiale che costantemente accompagna la voce a dir poco commovente di Andrew Davie fino ad arrivare al punto di rottura dove colpi secchi di batteria introducono il crescendo finale: un’alchimia di chitarra acustica, banjo, cori e fiati trasporta l’ascoltatore tra le strade incantate di Pompei dove in pochi minuti vengono toccati tutti i temi dell’umana esistenza.
L’album prosegue seguendo uno schema lineare, i primi versi partono molto sommessi espandendosi verso ritornelli fatti di voci corali e spirali che puntano sempre più verso l’alto. Degna di nota è la bellissima e nostalgica Think Of England che vale la pena di essere ascoltata solo per la combo finale di archi e fiati. La seconda parte del disco scorre via veloce, ci sono alcuni passi falsi ma non intaccano per nulla l’insieme del lavoro, colpo di coda finale è la trionfale Elysium che fa da apripista alla sofferente Bad Blood con cui si chiude mestamente il tutto.
Tirando le fila possiamo dire che Islands è un album completo, maturo e profondo. Nulla ha da invidiare ad altri del suo genere e per niente è fuori luogo in questo periodo musicale, dove l’elettronica sembra abbia preso il sopravvento su tutto. Ci auguriamo di sentire parlare ancora di questo trio britannico.
Tracce consigliate: Agape, Think Of Englands, Above The Clouds of Pompeii
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