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KING OF THE MINIBAR

3.3 6.6

L’ultimo disco di Andrea Bruschi, in arte Marti, non è per nulla un disco semplice e immediato. Anzi. King of the Minibar, questo il nome del disco, è un’opera musicale difficile e tortuosa che per essere compresa appieno necessita di numerosi ascolti e di un’attenzione particolare alla parte visiva dell’opera. L’album è  infatti pensato come una graphic novel ambientata in un hotel di Berlino a dieci stanze, tutte con il loro minibar, ognuna con il proprio ospite e la sua storia da raccontare.

Qui parte fondamentale l’ha avuta la prestigiosa collaborazione del fumettista Igort (www.igort.com) che ha disegnato la cover, il libretto e l’intero artwork del disco.

Io personalmente anche dopo numerosi ascolti faccio ancora fatica a dare un giudizio oggettivo, forse a causa della complessità e peculiarità dell’opera, siamo infatti di fronte ad un album per nulla comune. All’interno del lavoro di Marti oltre all’aspetto musicale (che rimane prevalente), c’è anche il cinema, la grafica e la letteratura, tutte forme d’arte che si fondono e si completano a vicenda. 

E’ innegabile però la bravura di Andrea nel saper creare ed evocare, attraverso le musiche ed i testi, situazioni ed immagini che in maniera quasi angosciante portano l’ascoltatore dentro quelle stanze d’hotel, dove le musiche, che spaziano maestosamente attraverso generi e decadi, accompagnano l’ascoltatore/protagonista in questo viaggio misto tra il grottesco e il surreale.

Ho amato quegli artisti – spiega Andrea Bruschi – che tra gli anni Settanta e Ottanta avevano una poetica inclusiva di tutte le forme d’arte: il cinema, la pittura, la letteratura, la recitazione, la performance. Grazie a quel filone musicale ho conosciuto l’arte e me ne sono innamorato”.

Un album, quest’ultimo, internazionale nel dna: concepito a Berlino, affinato a Vienna e Praga, registrato tra Londra, Berlino e la Liguria con la produzione artistica di James Cooke l’ausilio in studio dei musicisti Simone Maggi e Claudia Natili. Ci sono la new wave, il post-punk, il noir delle colonne sonore, la sperimentazione e il cabaret della scena tedesca, il cantautorato della tradizione italiana, l’amore incondizionato per David Bowie, Nick Cave e Depeche Mode, il gusto pop per il ritornello melodico.

Cassavetes diceva: trovate persone che volete emulare e supportatele. Non importa dove siano e che forma d’arte facciano, sia musica o qualsiasi cosa. Supportatele perché, avanti nel percorso, saranno loro il vostro supporto”.

In conclusione: King of the Minibar non è un album per tutti, non è un album per chi vuole tutto e subito; è invece un album per sognatori, per gente a cui piace la letteratura, il cinema, e l’arte in tutte le sue forme. Se siete questo tipo di persone, questo è il disco che fa per voi. 

 

 

Mario

Laureato in economia, ma ciò che amo veramente è la musica e provo anche a scriverci qualcosa. “A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata, a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie“ Follow @guerci_mario

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