“But something touched me deep inside, The day the music died”.
“Il giorno in cui la musica morì” è spesso interpretata come una riflessione sulla morte di Buddy Holly, Ritchie Valens e The Big Bopper avvenuta in un incidente aereo il 3 febbraio 1959.
Ma in questa lunga epopea musicale c’è dentro molto di più: la gioventù di Don McLean, la storia americana degli anni ’60 fatta di disagio giovanile e guerre, poi si citano grandi artisti come John Lennon e i Byrds e si percorre una sorta di storia del Rock ‘N’ Roll di quei tempi. Ma si parla anche di religione, di speranze infrante e soprattutto si parla della musica in quanto tale; della musica che è morta.
La cosa che ogni volta mi colpisce di questa canzone è che è proprio un racconto, c’è un introduzione iniziale, lenta e nostalgica, poi una parte centrale veloce ed incalzante, infine si conclude come è iniziato: il tono torna triste e quasi rassegnato.
Prendetevi otto minuti ed ascoltate questo splendido racconto, ne vale la pena.
“Bene, in quel momento nelle strade i bambini gridarono
Gli innamorati piansero e i poeti sognarono
Nulla fu detto
Tutte le campane della chiesa si ruppero
E i tre uomini che amavo di più
Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo
Loro, il giorno in cui la musica morì
Presero l’ultimo treno per la costa”
Ma non è così! La musica non è morta! Oggi più che mai voglio ricordarlo, esiste ancora qualche “pazzo” che crede in questo eterno spettacolo e come canta lo stesso Don Mclean:
“Can music save your mortal soul?”.
Dedico questa canzone in modo particolare alla mia cara amica Marta che oggi si laurea.
Buon ascolto,
Mario