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Neverwhere

Intervista: NEVERWHERE

Neverwhere è il progetto solista del torinese , bassista di New Adventures in Lo-Fi e Caplan, chitarrista degli American Splendor. Abbiamo avuto modo di fargli qualche domanda:

Ciao Michele, iniziamo con una domanda doverosa: da dove nasce il nome Neverwhere?

Sono un grande fan di Neil Gaiman (autore di Sandman, Coraline, American Gods, …), e al momento di dare un nome al mio progetto è venuto naturale andare ad attingere al suo immaginario. Neverwhere, tradotto secondo me mirabilmente in italiano con “Nessun dove”, è un suo romanzo del 1996, che si svolge in una specie di universo parallelo che si snoda al di sotto di Londra. A essere sincero l’ho scelto più perché mi piaceva e basta che per qualche significato legato alla storia.

Ci racconti come nasce il tuo progetto da solista?

Scrivo canzoni da quando ho imparato a suonare la chitarra a sufficienza per accompagnare la voce. Il più delle volte erano Alonetogether frontpensate per essere eseguite dalla band in cui militavo come cantante, chitarrista o bassista, ma negli anni ho accumulato un buon numero di composizioni più personali, più intime, nate semplicemente per dare espressione ai miei conflitti interni, per cercare di interpretare avvenimenti ed emozioni legate al mio vissuto. Non pensavo potessero interessare a qualcuno, per questo motivo ci ho messo un sacco a decidermi e registrare l’album.

In un periodo musicale dove tutto sta andando verso suoni artificiali ed elettronici ed il finto indie-pop elettronico è diventato mainstream, tu porti avanti con forza ed emotività un genere che in Italia (almeno nelle nuove generazioni) non ha trovato tanti riscontri. Cosa ne pensi?

Penso di non aver mai avuto occhio per le mode, e di non essere granché capace a indovinare la direzione del vento. È tutta la vita che mi sento fuori tempo massimo o comunque fuori contesto, ci ho fatto i conti e invece di forzarmi a seguire il flusso cerco di fare ciò che mi piace e in cui credo, e io credo nella potenza comunicativa del mezzo-canzone. Poi delle sue mille forme io utilizzo prevalentemente quella voce e chitarra, che mi viene più naturale e che ritengo più diretta.

Come mai la scelta cantare in inglese e non in italiano?

Come per la risposta prima più che di una scelta si tratta di una necessità: quando prendo in mano la chitarra le parole mi escono in inglese. Che sia dovuto al fatto che ascolto molta più musica in inglese, o che non mi sento a mio agio con la mia lingua madre e quindi voglia nascondermi un po’, non lo so. Quello che so è che quando ho provato a cimentarmi con l’italiano ho prodotto degli abomini che è meglio dimenticare.

Tutto Alonetogether è circondato da una forte malinconia che facilmente arriva a toccare le corde emotive di chi ti ascolta, cosa racconti? Cosa cerchi di comunicare all’ascoltatore?

Lo stato d’animo da cui di solito scaturiscono le mie canzoni è proprio una specie di malinconia contemplativa che non ha altro modo di sfogarsi, e il cui spettro va dal lamento disperato alla presa di coscienza. Alonetogether racconta la mia storia negli ultimi anni, con cadute, abissi, risalite, notti insonni, dubbi e domande sempre in circolo, un quintale di paure e ossessioni, inciampi, persone ricordate, rimaste o andate via, gli amori finiti, quelli soffocati e quelli che quando nascono ti fanno aspettare domani con trepidazione.

Trovo molto interessante la dicotomia presente in Alonetogheter, spesso ballate acustiche e lente sono messe in contrapposizione ad accelerazioni elettriche, una su tutte Outcast Manifesto, che molto mi ha ricordato le band più punk rock americane degli anni ‘90. Perché questa scelta musicale? (che a mio modesto parere, trovo azzeccatissima).

NeverwherePiù che una scelta si è trattato di dare spazio a tutte le composizioni che volevo includere nell’album, e trattandosi di pezzi scritti nell’arco di parecchi anni alcuni sono molto diversi da altri. “Outcast Manifesto” parla di quando finalmente trovi qualcuno che si senta escluso quanto te, del rapporto profondo che unisce chi si muove dietro le quinte della vita e non in primo piano. Volevo assolutamente inserirla in Alonetogether, anche se avevo pensato più a un arrangiamento voce e chitarra elettrica alla Billy Bragg. Abbiamo aggiunto un’altra chitarra, ci abbiamo sentito una linea di basso, poi la batteria, e forse ci è sfuggita la mano…ne sono molto soddisfatto, così come della varietà del disco, ma in futuro vorrei dare una forma più unitaria ai miei lavori.

Ascoltando tutto l’album ho avuto molti richiami musicali, forse sbagliando, ma c’è del Nick Drake, fino ai più recenti Alexi Murdoch e Damien Rice. Alcuni pezzi, come Girl interrupted e Better than yesterday, worse tha tomorrow (forse la mia preferita) si sono spinti verso qualcosa di ancora più sperimentale. Quali sono gli artisti che ti hanno più di tutti accompagnato nella tua crescita musicale ma anche personale?

Non c’è dubbio che Nick Drake e Damien Rice siano tra questi. Aggiungerei Springsteen perché per me nasce tutto da lì, e poi Iron&Wine, Glen Hansard e i Frames, il Beck di Sea Change e Morning Phase, i Wilco (e i loro splendidi Mermaid Avenue proprio con Billy Bragg)… E poi mi fermerei finché posso.

Ultima domanda: hai in programma un tour per portare in giro e far conoscere Alonetogether?

Certo! Piano piano stiamo cercando di inanellare un po’ di date, se per caso chi legge fosse interessato a farmi suonare può scrivere a booking.dotto@gmail.com.

 

 

Mario

Laureato in economia, ma ciò che amo veramente è la musica e provo anche a scriverci qualcosa. “A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata, a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie“ Follow @guerci_mario

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