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RICORDANDO NANNI SVAMPA (Milano 28-02-38, Varese 26-08-17)

“Ci facciamo una cantatina?”
“Dai, prendi la chitarra!”
“Chi è che dis ch’el vin el fa mal / l’è tutta gente, l’è tutta gente / chi è che dis ch’el vin el fa mal / l’è tutta gente de l’ospedal…”.

Avrò vissuto questa scena centinaia di volte: le serate più divertenti che io ricordo iniziavano tutte con del buon vino, una chitarra e “Minestron” (un medley di canzoni da osteria) di Nanni Svampa. Da lì si attaccava a cantare “Se gh’hann de dì”, inventando di volta in volta strofe nuove sui presenti, “Camerer porta mez liter”, “E mi la donna bionda”, “El magnano”, “Spazzacamino”, “Pellegrin che vien da Roma”, “Coccodì coccodà”… tutte canzoni che non si imparano dalla radio ma cantandole con amici più grandi attorno al fuoco di un bivacco, alle feste di paese o nelle più accoglienti taverne del lungolago di Varese.
Sono canzoni davvero popolari, ma non nell’accezione che in inglese ha l’aggettivo “popular”, cioè “di massa”, ma in quella più profonda di “folk”, cioè radicate nella tradizione di un popolo: “Milano canta” è il titolo di una serie di album dei Gufi che riassume molto bene questo concetto.
Fra i grandi cantautori milanesi, lui è stato quello che più di tutti ha mantenuto questa genuinità “da osteria”.

Eppure Nanni Svampa non è stato un artista grezzo, anzi…
Negli Anni ’60 il teatro Derby di Milano era il centro della vita culturale della città: lì si esibivano Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Dario Fo e, naturalmente, i Gufi. Svampa (“il cantastorie”), Lino Patruno (“il cantamusico”), Gianni Magni (“il cantamimo”) e Roberto Brivio (“il cantamacabro”) portavano sulle scene i loro show di musica e cabaret riproponendo da un lato la tradizione della canzone dialettale che andava scomparendo e dall’altro delle composizioni satiriche, grottesche, spesso venate di humour nero, come a sottolineare che dietro ad ogni risata rimane un fondo d’amarezza.

Ma per capire la portata culturale di Svampa come cantautore bisogna andare al suo primo album: “Nanni Svampa canta Brassens”. Come Fabrizio De André, anche il milanese si era innamorato dell’arte del maestro francese e, notando una certa somiglianza d’accenti tra la lingua d’oltralpe e il dialetto di Milano, decise di incontrarlo (cosa che De André non volle mai fare, per non rovinare l’immagine splendida che di lui si era fatto nella fantasia) e, con lui al suo fianco, tradurne i brani più celebri.
Videro così la luce “La prima Tosa”, “La vocazion”, “La Rita de l’Ortiga”, “L’ombrella”, “La donna de cent cinquanta franc”… e per gli appassionati di de André: “El gorilla” (“Il gorilla”), “I assassit” (“Delitto di paese”) e “El sposalizzi” (“Marcia nuziale”).
Fu un album che spalancò le finestre della città meneghina, lasciando entrare il vento fresco della grande canzone d’autore francese, ma al contempo la “milanizzava”, ambientando le storie parigine tra la Bovisa e “el pont de l’Ortiga”. Le canzoni di Brassens diventavano canzoni popolari milanesi a tutti gli effetti e si veniva a creare una nuova tradizione “alta” di canto popolare.

Oggi, secondo anniversario della sua scomparsa, mi sembra una bella occasione per riguardare questo documentario autobiografico, girato dallo stesso Nanni Svampa, che termina con il passaggio del testimone da lui a Davide Van De Sfroos, colui che ha riportato la canzone in dialetto a livelli poetici degni del più nobile cantautorato.
Buona visione e buona cantata!

Brian

Amo mangiare, bere, dormire e... Cosa mi distingue da un grosso orso? Pochi peli e l'amore per la musica. Genere preferito? Femminile, naturalmente! PS: sono marito, padre e professore, ma questa è un'altra storia...

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