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Bob Dylan - InTheFlesh

Perché BOB DYLAN non era a WOODSTOCK?

Un ritratto dell’America degli anni ’60 attraverso le parole, le canzoni e le immagini dell’artista più contraddittorio della storia statunitense

di Roberto Pozzi

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Il 23 maggio 1971 il Movimento Rivoluzionario di Liberazione d’America scelse come oggetto di contestazione la casa di Bob Dylan. L’ideatore della manifestazione, Alan Weberman, accusava il cantante di aver abbandonato la causa rivoluzionaria e di non scrivere più canzoni impegnate, anzi di essere ormai un conservatore. Da circa un anno il critico musicale perseguitava Dylan nel tentativo di trovare prove della sua corruzione borghese; Weberman frugava tra la sua spazzatura alla ricerca di documenti compromettenti che ritenne di poter riconoscere nel conto di un veterinario per il cane Sasha, alcuni ordini postali di cosmetici per la moglie Sara Lownds e qualche lettera di gratitudine di parenti beneficiati, oltre a varie riviste rock e l’incriminata ricevuta di sovvenzionamento di una scuola privata progressista. Forte di queste insindacabili prove, quel 23 maggio, il giorno prima del 30° compleanno di Dylan, Weberman arringò la folla e lasciò sul pianerottolo della casa una torta di compleanno fatta di dollari falsi e aghi da iniezione al posto della candeline. L’atmosfera si surriscaldò e la polizia intervenne arrestando qualche manifestante; il corteo si spostò così verso la centrale di polizia e i contestatori si avviarono cantando Blowin’ in the Wind, ma arrivati alla seconda strofa nessuno ricordò il primo verso[1].

image007All I can do is be me, whoever that is[2].” Nonostante gli stereotipi utilizzati per etichettarlo, Bob Dylan non coincide con nessuna delle maschere che ha indossato nel corso degli anni. Da menestrello a oracolo, da profeta a traditore, da predicatore a poeta maledetto: in oltre cinquant’anni di carriera, Dylan ha attraversato la storia del rock in continua contraddizione con le aspettative legate al suo nome[3]. Da un lato la fuggevolezza di questo personaggio ha creato intorno alla sua figura un’aurea di eternità e di mistero che rende vano ogni tentativo di spiegare razionalmente la vera e propria venerazione che ammiratori e non compiono nell’accostarsi alla sua figura. Dall’altro la continua esigenza di cambiamento gli è valsa l’odio e il rifiuto di grandi parti del suo stesso pubblico che, seppur sempre minoritarie e insindacabilmente sconfitte dal tempo, hanno marcato con contestazioni e tensioni l’intera carriera di Bob Dylan.

L’episodio raccontato rappresenta l’apice di un graduale distacco tra i movimenti rivoluzionari pacifisti iniziati negli anni ’60 e il cantante eretto a loro portavoce e simbolo. Questo lavoro si propone di mostrare, nella prima parte, come l’emblematica figura di Bob Dylan si inserisca nel contesto culturale di quegli anni, dalle proteste per i diritti civili all’esigenza di cambiamento generazionale fino alle contestazioni per la guerra del Vietnam e all’antimilitarismo pacifista, grazie alla capacità di porsi in continuità con i movimenti precedenti della beat generation e di dare voce attraverso le proprie canzoni al sentimento inesprimibile di una generazione.

Riusciva a dare forma a ciò che gli altri volevano, ma non riuscivano a dire [4]

disse anni dopo Liam Clancy, cantante folk irlandese molto popolare in America in quel periodo. L’intento è, inoltre, evidenziare l’abilità di Dylan di trascendere, anche nei testi apparentemente più impegnati e legati all’attualità, la contingenza storica e gli eventi del momento per raggiungere, attraverso simboli e allusioni, un orizzonte poetico più ampio e complesso. La volontà di dimostrare come la definitiva rottura con il movimento di protesta e con il mondo del folk, che si verifica simbolicamente nel 1965 con le accuse di tradimento e prostituzione al rock, abbia radici più profonde e derivi da una strumentalizzazione delle canzoni e delle posizioni di Dylan caratterizza la seconda parte, mentre nella terza parte le tappe di tale separazione sono descritte più dettagliatamente. La quarta parte risponde definitivamente alla domanda posta dal titolo, mentre la conclusione getta uno sguardo più ampio sull’intera produzione dylaniana rintracciando nei continui mutamenti che la caratterizzano una delle cause dell’eterna fama di Bob Dylan e dell’importante ruolo nella cultura del Novecento universalmente riconosciutogli.

Introduzione: “I was young when I left home”

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Nel gennaio del 1961 un giovane non ancora ventenne di nome Robert Allen Zimmerman arriva, grazie ad una serie di autostop, in una gelida New York e si reca senza esitazione al Greenwich Village in cerca di una casa per pochi spiccioli. Quando gli chiedono come si chiama risponde senza esitazione: “Bob Dylan”. In un momento tutto il suo passato scompare, dalla famiglia di Hibbing, città mineraria del Minnesota in cui il padre gestiva un negozio di articoli elettrici, ai primi tentativi nel mondo della musica con il rock, che allora si chiamava ancora rock & roll, fino ai primi complessi al liceo con lo pseudonimo di Elston Gunn. In un attimo quel nuovo nome, scelto senza nessun significato apparente, apriva al ragazzo nato a Duluth la possibilità di riscrivere completamente il proprio passato. Le ragioni della scelta hanno originato numerosi dibattiti, ovviamente mai risolti dal diretto interessato che si è limitato a smentire le diverse ipotesi e tra queste la più accreditata che vedeva in tale scelta un omaggio al poeta gallese Dylan Thomas; “Ho fatto più io per Dylan Thomas di quanto lui abbia mai fatto per me”. Forse le radici ebraiche del padre, evidenti nel cognome Zimmerman, hanno spinto il giovane Robert a scegliere uno pseudonimo, ma il suo reale intento era semplicemente recidere ogni legame con il suo passato e con la “landa di desolata mediocrità[5]” in cui era cresciuto.

La città di Hibbing era una città come tante, formata da tre o quattro isolati disposti lungo la via principale e sorta vicino ad una grossa miniera di ferro grezzo che dava lavoro a quasi tutti gli abitanti. Lì Dylan crebbe in un ambiente di fiducia sconfinata nel progresso e nella superiorità americana, caratteristica del primo dopoguerra, cresciuto da una famiglia benestante di origini ebraiche fortemente influenzata dal modello di vita americano che, in quegli stessi anni, veniva esportato in tutto il mondo come esempio di libertà e democrazia.

Mio padre mi disse che dovevo lavorare duro se volevo avere successo, ma io non capivo di quale successo stesse parlando,

rivelò l’artista anni dopo per mostrare la distanza dal modo di ragionare della famiglia e il desiderio di fuga.

image011Il crescente benessere interno e la politica interventista proposta dal presidente Truman, esemplificata dal Piano Marshall che in pochi anni permise la ripresa di molti paesi europei, non erano, tuttavia, esenti da secondi fini. Già dalla fine della Seconda Guerra Mondiale si delineava, infatti, una netta contrapposizione tra due blocchi ideologici: da un lato l’America, a difesa della democrazia e della libertà, e dall’altro il totalitarismo sovietico di Stalin. Nello scenario di costante tensione della Guerra Fredda, in cui incombeva il terrore di una guerra nucleare imminente, si diffuse negli Stati Uniti quella che viene definita second red scare in contrapposizione al timore del contagio comunista degli anni ’20 e ’30. A differenza dell’atteggiamento di quegli anni, basato sul timore di agitazioni sindacali e disordini, durante tutto il periodo di conflitto si sparse la paura di un’infiltrazione interna di carattere spionistico. Questo clima iniziò verso la fine degli anni ’40 e fu alimentato dalla rivoluzione comunista in Cina ad opera di Mao-Tse-Tung, dallo scoppio della guerra di Corea e dai primi successi degli esperimenti nucleari dell’Unione Sovietica che segnarono la fine del monopolio americano sulle armi atomiche e rappresentavano una forte minaccia per la sicurezza nazionale.

Una delle prime canzoni originali scritte da Bob Dylan dal titolo Let me die in my footsteeps si riferisce all’atteggiamento di paranoia collettiva alimentato dalle continue esercitazioni contro un eventuale attacco nucleare. L’invito rivolto all’ascoltatore è di non perdere tempo a scavare la fossa in cui seppellirsi costruendosi il proprio bunker antiatomico, ma di rivendicare la propria assoluta libertà e vivere la vita a pieno abbracciando in un ipotetico viaggio ogni parte del paese per arrivare idealmente a camminare in pace con il proprio fratello. La canzone costituisce una delle prime autentiche denunce di una follia generale su cui la politica americana fece leva per aumentare il proprio livello di autoritarismo e scongiurare ogni minaccia interna.

There’s been rumors of war and wars that have been
The meaning of the life
has been lost in the wind
And some people thinkin’
that the end is close by
“Stead of learnin’ to live
they are learning to die. 

Let me die in my footsteps

before I go down under the ground.

I don’t know if I’m smart

but I think I can see
When someone is pullin’

the wool over me
And if this war comes

and death’s all around
Let me die on this land

‘fore I die underground.

Let me die in my footsteps

before I go down under the ground.

Ci son state notizie di una prossima guerra e guerre ci son già state
Il significato della vita
si è perduto nel vento
Ed alcuni che credono
che la fine sia vicina
invece di imparare a vivere
imparano a morire 

Lasciatemi morire sui miei passi
prima di finire sotto terra

Non so se sono intelligente

ma credo di essere in grado di capire
quando qualcuno mi getta

fumo negli occhi
E se questa guerra arriva

e la morte è prossima
Lasciatemi morire su questa terra

prima che muoia sotto terra

Lasciatemi morire sui miei passi
prima di finire sotto terra

image013In questa situazione si affermò una violenta ondata di anticomunismo di cui il senatore repubblicano Joseph McCarthy fu promotore e principale esponente. Già con il presidente Truman nel 1947 i funzionari pubblici erano stati costretti a sottoscrivere il Programma di fedeltà degli impiegati federali, ma l’inasprimento di questa politica si ebbe nel 1950 quando McCarthy intraprese la “caccia alle streghe”, come la definì il drammaturgo Miller, e promosse l’approvazione dell’InternationalSecurety Act che rendeva legali le persecuzioni da parte della Commissione per le attività antiamericane, presieduta dallo stesso senatore, contro coloro che fossero sospettati di cospirare contro la sicurezza nazionale. Furono istituite delle vere e proprie liste nere in cui rientravano indistintamente dipendenti statali ed esponenti della stampa o della cultura; fortemente colpito fu l’ambiente di Hollywood. L’inserimento nella lista comportava automaticamente il licenziamento e la fine della carriera senza la necessità di avere prove concrete. Note personalità come Orson Welles e Joseph Losey decisero di lasciare gli States mentre a Charlie Chaplin fu più volte negato il visto per rientrare in patria dopo un viaggio in Europa. Questo periodo, che venne definito maccartismo, culminò con l’elezione nel 1952 del presidente Eisenhower, generale eroe della Seconda Guerra Mondiale e candidato repubblicano, e con la condanna a morte nel 1953 dei coniugi Rosemberg, due fisici atomici ebrei e simpatizzanti comunisti, accusati di essere spie sovietiche sulla base di prove incerte e oscure.

Dopo una serie di battaglie mediatiche volte a denunciare i metodi del senatore, che image015rimasero comunque marginali e fortemente osteggiate[6], l’influenza di McCarthy iniziò a diminuire in modo graduale fino all’espulsione dal partito repubblicano del 1955 dopo gravi accuse a membri dell’esercito. Il clima di sospetto e oscuramento durò tuttavia ancora diversi anni e l’anticomunismo caratterizzò sia la fine degli anni ’50 che l’inizio del decennio successivo manifestandosi attraverso la violenza del rinvigorito Ku Klux Klan e le attività di società ultra-conservative come la John Birch Society. Proprio queste associazioni furono vittima di una grande campagna denigratoria portata avanti in prima persona dallo stesso Dylan in cui la paura delle infiltrazioni comuniste veniva enfatizzata per rivelarne tutti gli aspetti paranoici e paradossali. Nel blues parlato Talkin’ John Birch Paranoid Blues da un lato vengono mostrati gli aspetti più drammatici e la vicinanza di queste associazioni alle forme di repressione fascista e dall’altro viene ritratta tutta l’assurdità della “caccia alle streghe”.

Now we all agree with Hitler’s views
Although he killed six million Jews
It don’t matter too much that he was a Fascist
At least you can’t say he was a Communist!
That’s to say like if you got a cold
you take a shot of malariaWell, I quit my job so I could work all alone
Then I changed my name to Sherlock Holmes
Followed some clues from my detective bag
And discovered they wus red stripes on the American flag!
That ol’ Betsy Ross . . .
Well, I fin’ly started thinkin’ straight
When I run outa things to investigate
Couldn’t imagine doin’ anything else
So now I’m sittin’ home

investigatin’ myself!
Hope I don’t find out anything . . .

hmm, great God!

Ora noi tutti siamo d’accordo con le idee di Hitler,
sebbene abbia ucciso sei milioni di Ebrei.
Non importa se era un Fascista,
almeno non si può dire che fosse un Comunista!
Vale a dire che se hai un raffreddore
ti fai un’iniezione di malaria.
Bè, ho mollato il mio lavoro così da lavorare soloho cambiato il mio nome in Sherlock Holmes.
Ho seguito alcuni indizi
ed ho scoperto che ci sono strisce rosse
sulla bandiera americana!
Pensa un pò, la vecchia Betsy Ross[7]
Bè, alla fine ho cominciato a vederci chiaro
quando ho finito le cose su cui investigare.
Ma ormai non riesco a fare altro,
così adesso me ne sto a casa seduto

investigando su me stesso!
Spero di non scoprire nulla…
hmmm, Dio santo!

Da un punto di vista culturale la fine del maccartismo permise la diffusione di alcune prime forme di insofferenza nei confronti della teoria del progresso perpetuo e di contestazione verso l’enfatizzazione della nuova civiltà dei consumi e verso l’arrivismo pubblicizzato che avevano caratterizzato il primo dopoguerra. In particolare nelle grandi città di New York e San Francisco, si sviluppò un movimento giovanile articolato e complesso noto come beat generation. Gli autori principali, tra cui si ricordano prevalentemente il poeta Allen Ginsberg e Jack Kerouac, autore del romanzo On The Road, erano accomunati dalla denuncia del divario sociale creato dal sogno americano e dalla rappresentazione delle classi più emarginate come poveri, neri, omosessuali e vagabondi. Altre peculiarità della beat generation erano l’influenza delle religioni orientali, con una forte componente di misticismo alimentata dall’uso abbondante di droghe, e un rifiuto delle convenzioni imposte.

image017A livello musicale già prima della guerra era iniziata un’importante riscoperta del patrimonio tradizionale alla ricerca dei valori profondi e autentici della cultura americana. Principali esponenti di questo atteggiamento furono il songwriter Woody Guthrie e il cantante folk Pete Seeger; entrambi costituirono per Bob Dylan dei modelli fondamentali per l’accostamento alla scena musicale americana. Il primo si distinse per l’antifascismo e per la costituzione di quel vastissimo immaginario fatto di personaggi della vita quotidiana come vagabondi, piccoli delinquenti, giocatori d’azzardo e suonatori solitari da cui i cantanti folk degli anni ’50, e poi lo stesso Dylan, attinsero a piene mani; dopo aver combattuto nella Seconda Guerra Mondiale venne inserito nelle liste nere di McCarthy per la sua vicinanza ai movimenti sindacali e nel 1956 fu colpito da una grave malattia ereditaria e, rinchiuso in un ospedale psichiatrico, morì nel 1967 senza mai prendere parte alla contestazione giovanile degli anni ’60, ma rimanendo sempre un punto di riferimento. Pete Seeger, al contrario, si distinse per la partecipazione costante e l’attività di promozione delle idee comuniste che gli valse un anno di carcere per attività antiamericane nel 1961. La figura di Woody Guthrie costituisce uno dei pilastri fondamentali dell’identità nazionale americana e l’influenza delle sue canzoni e della sua autobiografia Bound for Glory non hanno paragoni nella storia musicale statunitense. A causa della forte connotazione patriottica pochi sono i suoi pezzi oggi conosciuti ai più, ma canzoni come This Land is your land o They laid Jesus Christ in his grave, entrambe reinterpretate dal giovane Dylan[8], sono note alla quasi totalità dei cittadini americani.

Negli anni ’50 il punto d’incontro tra la beat generation e la musica folk era costituito dal Greenwich Village, un quartiere del centro di New York caratterizzato dalla presenza di moltissimi locali, le coffee houses, in cui si recavano poeti, scrittori, cantautori, studenti e artisti vari in un fervente clima di vitalità e promiscuità culturale. Le serate di questi locali vedevano recitazioni di poesie alternate a intermezzi di giovani cantanti di protesta che riprendevano motivi tradizionali e cercavano una via di fuga dalla società conformista. Molti esponenti importanti della cultura degli anni ’60, tra cui Woody Allen, Andy Warhol, Nina Simone, Lou Reed e Dustin Hoffman, mossero i primi passi proprio al Greenwich Village in un ambiente in cui eccentricità e politica, specialmente se tendente a sinistra, erano continuamente all’ordine del giorno. Dave van Ronk, uno dei cantanti più autorevoli dell’ambiente, racconta di

un locale, in fondo alla strada, in cui ogni sera scoppiavano risse tremende tra stalinisti e trotzkisti,

mentre Liam Clancy ricorda la fiducia in un reale cambiamento sociale e concreto rivelando che

eravamo tutti convinti che stesse cominciando qualcosa di cui noi eravamo gli iniziatori[9].

Parte prima:Come gather ‘round people

image019Leggenda vuole che Dylan, non appena arrivato a New York nell’inverno del 1961, si fosse diretto senza esitazione nell’ospedale psichiatrico dove si trovava Woody Guthrie e avesse suonato per l’idolo alcune sue canzoni in un ideale passaggio di testimone. Sicuramente dopo aver trovato ospitalità in casa di amici, il giovane artista iniziò a frequentare l’ambiente del Greenwich Village entrando in contatto con gli esponenti più importanti della musica folk ed esibendosi nei vari locali migliorando e ampliando il proprio repertorio. Il panorama musicale di quegli anni era, però, molto frammentato e la concorrenza estremamente agguerrita; la grande capacità di Dylan era quella di assorbire come una spugna le diverse influenze del momento e rifletterle nella sua voce nasale, grezza, atipica e sicuramente “tutt’altro che bella”, come scrisse Robert Shelton, critico del New York Times, in una recensione che aprì la strada all’emergente cantante. Fortuna e talento permisero a Dylan di emergere dal grigiore della miriade di artisti che si esibivano nel Village e di firmare, il 26 ottobre 1961, il suo primo contratto discografico con la Columbia.

Nel frattempo l’America attraversava una fase di rinnovata fiducia e speranza in un image021cambiamento grazie all’elezione del senatore democratico John Fizgerald Kennedy. Grazie ad un abile uso dei mezzi di comunicazione, il nuovo Presidente seppe alimentare le aspettative intorno al suo nome e lanciare la politica della “nuova frontiera”, immagine usata per indicare l’inizio del nuovo decennio e la necessità di superare i problemi scientifici e sociali posti dalle amministrazioni precedenti. Sul piano della politica interna Kennedy tenne fede ai suoi progetti progressisti impegnandosi in prima persona per la parità di diritti sociali tra la popolazione bianca e quella di colore, ancora non riconosciuta in alcuni stati del Sud. Il presidente stanziò anche importanti fondi per lo sviluppo spaziale nel tentativo di riscattare i successi dell’Unione Sovietica che, dopo il lancio dello Sputnik, era riuscita a mandare il primo uomo nello spazio. Il 1961 è anche l’anno della costruzione del Muro di Berlino ad opera della Repubblica democratica tedesca, stato associato all’URSS, per impedire le fughe verso la parte occidentale della città, di influenza americana.

image023Le prime esperienze in sala di registrazione, tuttavia, rivelano la notevole distanza tra la cronaca del periodo e l’artista emergente. Le composizioni originali, strettamente legate al divampante movimento di protesta e di lotta per i diritti civili, infatti, rimangono fuori da Bob Dylan, album d’esordio del giovane cantante. Il disco si compone, quindi, perlopiù di cover di canzoni tradizionali eseguite nelle serate al Village e di soli due episodi originali tra i quali si ricorda l’omaggio al maestro in Song to Woody. La scelta di incidere pezzi già noti non permise all’album di ottenere il successo sperato e le poche copie vendute non permisero all’artista di emergere nel panorama della musica folk. A Dylan, tuttavia, furono sufficienti i primi trenta secondi del successivo album per scrivere la storia.

How many roads most a man walk down
Before you call him a man ?
How many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand ?
Yes, how many times must the cannon balls fly
Before they’re forever banned ?
The answer my friend is blowin’ in the wind
The answer is blowin’ in the wind.
Quante strade deve percorrere un uomo
prima che lo si possa chiamare uomo?
Quanti mari deve sorvolare una bianca colomba
prima che possa riposare nella sabbia?
Quante volte le palle di cannone dovranno volare
prima che siano per sempre bandite?
La risposta, amico, sta soffiando nel vento
La risposta sta soffiando nel vento

image025Improvvisamente Dylan aveva smesso di essere il ragazzo che distribuiva biglietti da visita con scritto “Non sono ancora morto. Firmato Woody Guthrie” spacciandoli per originali e aveva posto il proprio nome accanto a quello del suo idolo con tutte le premesse per superarlo. Il secondo disco ufficiale, The Freewheelin’ Bob Dylan, uscì il 27 maggio 1963 riscuotendo un notevole successo di pubblico. Definito dalla critica “la più importante raccolta di canzoni originali di tutti gli anni ’60[10]“, l’album costituisce la pietra d’angolo del folk americano ed elevò l’autore al ruolo di simbolo della protesta giovanile e portavoce di un’intera generazione. Pezzi come Blowin’ in the wind e Masters of war divennero veri e propri inni e, grazie alla semplicità formale, una struttura melodica giocata su tre soli accordi, all’immediatezza del linguaggio e alla capacità evocativa e poetica dei versi, entrarono a far parte delle grandi opere della letteratura giovanile. Ma le parole di Dylan superarono il messaggio delle canzoni e costruirono intorno all’autore, ancora solo ventenne, un’aurea di sacralità comportando lo sviluppo dell’idea che la risposta a tutte quelle domande stesse sì soffiando nel vento, ma che lui, Bob Dylan, fosse in grado, con la sua chitarra, di coglierla, decifrarla e rivelarla alla gente comune. Solo in quest’ottica possono essere interpretate le moltissime dichiarazioni di cantanti e amici dell’artista in quel periodo, come Joan Baez, Pete Seeger, Dave van Ronk, che lo descrivono come ispirato dalla grazia divina e come profeta di una generazione altrimenti incapace di esprimersi.

La grande novità di Freewheelin’ è soprattutto l’attualità che entra in modo deciso nelle composizioni dell’autore, questa volta tutte originali, a parte due rivisitazioni marginali di classici del folk. Nel 1962 la tensione fra Stati Uniti e Unione Sovietica aveva raggiunto l’apice con la crisi dei missili di Cuba e la concreta possibilità dello scoppio di un nuovo conflitto su scala mondiale. Dopo la rivoluzione del 1959 e la nascita, a capo del nuovo stato caraibico, di un governo molto vicino al blocco comunista guidato da Fidel Castro, il presidente Kennedy aveva approvato un tentativo della CIA di inviare segretamente sull’isola dei rifugiati anticastristi per rivoltare l’opinione pubblica. Sbarcati il 17 aprile 1961 nella Baia dei Porci, gli esuli furono rapidamente identificati e neutralizzati con successiva beffa per il governo americano. La situazione precipitò nell’ottobre 1962 quando alcuni aerei-spia statunitensi individuarono sull’isola basi militari sovietiche per il lancio di missili nucleari installate dall’URSS in risposta alle basi americane in Turchia e in Italia. Kennedy, sapendo che i missili nucleari non avevano ancora raggiunto Cuba, ordinò il blocco navale e la situazione entrò in una fase di stallo e di tensione continua che terminò con la concessione di Chruščëv a smantellare le basi missilistiche e una prima distensione tra i rapporti, con il reciproco accordo fra le due superpotenze di cessare gli esperimenti atomici nell’atmosfera.

image027Il decimo pezzo di Freewheelin’, Talkin’ World War III, è un blues tradizionale che dipinge l’apocalittico scenario che si verificherebbe dopo un’ipotetica guerra atomica. Il brano racconta di un incubo dello stesso Dylan, trovatosi a camminare tutto solo in una città deserta e distrutta dal conflitto nucleare, il quale, recatosi dallo psichiatra per capire il significato del suo sogno, scopre che anche il dottore ha avuto le stesse visioni e si domanda ironicamente perché non lo abbia incontrato. La critica di Dylan è rivolta a tutta l’umanità che non riesce a fare a meno della violenza e continua a ricercare nella guerra la soluzione alle controversie.

La canzone costituisce anche uno dei primi testi con riferimenti biblici del giovane artista ricorrenti nelle composizioni successive.

Well, I spied a girl and before she could leave
“Let’s go and play Adam and Eve”
I took her by the hand
and my heart it was thumpin’
When she said, “Hey man, you crazy or sumpin’
You see what happened
last time they started”
Bè, scorsi una ragazza e prima che potesse scappare le dissi,
“Andiamo a giocare ad Adamo ed Eva.”
La presi per mano
ed il mio cuore incominciò a battere forte
Quando lei disse. “Hey ragazzo, ma sei matto o cosa,
non ricordi cosa accadde l’ultima volta che cominciarono?”

Le ansie di un nuovo possibile conflitto e i timori delle armi nucleari compaiono in maniera image029importante nell’album, ma, oltre alle tensioni esterne, l’amministrazione Kennedy dovette affrontare anche un difficile clima instauratosi all’interno del paese in seguito alla politica di riconoscimento dei diritti civili ai cittadini americani di colore, portata avanti dal Presidente. Diversi episodi di violenza si susseguirono tra il 1962 e il 1963 e scossero l’opinione pubblica; in questo contesto prese forma in modo più organico la protesta prefigurata dalla beat generation e sfociata nella nuova forma della canzone di protesta o canzone d’attualità di cui Dylan fu subito considerato uno degli esponenti principali. Nei testi dell’artista i fatti di cronaca diventavano spunto per riflessioni sviluppate in musica e la riproposizione di pezzi tradizionali, pur svolta con l’intento di gettare un nuovo sguardo interpretativo sul presente, lasciò il posto alla composizione di brani originali improntati alla denuncia sociale, alla speranza e all’antimilitarismo.

Nel settembre del 1962 presso il campo universitario di Oxford i segregazionisti bianchi presero d’assalto l’ateneo per impedire l’ingresso del primo studente afroamericano, James Meredith; Kennedy mandò le truppe federali a scortare il giovane, ma gli scontri furono ugualmente violentissimi con un bilancio finale di due morti e decine di feriti. La canzone Oxford Town riassume in poche immagini i tumulti di quella giornata e riflette amaramente sul razzismo violento del periodo invitando una reazione attiva che non si limiti al dissenso, il chinare il capo del testo.

Oxford Town, Oxford Town
Ev’rybody’s got their heads bowed down
The sun don’t shine above the ground
Ain’t a-goin’ down to Oxford Town
He went down to Oxford Town

Guns and clubs followed him down
All because his face was brown
Better get away from Oxford Town
Oxford Town, Oxford Town
Tutti tengono le teste basse
Il sole non splende oltre il suolo
Non andrò ad Oxford Town
Lui venne ad Oxford Town
Fucili e bastoni lo seguirono
Solo perché la sua faccia era scura
Meglio andare via da Oxford Town

image031Nel 1963 Bob Dylan fu invitato al Newport Folk Festival, annuale rassegna della musica folk americana, e la sua partecipazione viene spesso considerata il debutto dell’artista sulla scena internazionale. L’esibizione fu un grandissimo successo e il Festival si concluse con tutti cantanti sul palco a intonare ad una voce Blowin’ in the wind. Nel corso di quello stesso anno Dylan aveva intrapreso, in compagnia di Pete Seeger, un viaggio verso il sud del paese dove aveva riscosso grande approvazione guadagnandosi la fama di suo erede naturale; la manifestazione di Newport incoronò definitivamente il giovane artista e le parole di Allen Ginsberg lo consacrarono ulteriormente:

Bob Dylan è il portavoce della coscienza nazionale e rappresenta l’anello di giunzione tra la presa di coscienza della beat generation e le rivendicazioni concrete di questa nuova generazione[11]”.

Ormai il ragazzo giunto a New York nel freddo dell’inverno era in prima linea nella lotta per i diritti civili e combatteva fianco a fianco con la popolazione afroamericana scrivendo canzoni ad un ritmo sempre più frenetico ed esplorando tutte le potenzialità del suo nuovo mezzo espressivo.Allora riuscivo a scrivere canzoni dovunque. Per me era qualcosa di assolutamente nuovo ed elettrizzante[12] sostiene lo stesso Dylan nella sua autobiografia.

I have a dream… proclamava Martin Luther King dal palco del Lincoln Memorial il 28 image033agosto 1963 davanti ad una folla sterminata che reclamava la fine della discriminazione razziale e la reale uguaglianza di tutti i cittadini. Solo qualche ora prima, su quello stesso palco, Bob Dylan si era esibito in quello che forse fu il punto più rappresentativo dell’adesione politica alle manifestazioni degli anni ’60. Visibilmente emozionato di fronte a circa 300.000 persone l’allora ventiduenne artista eseguì due canzoni ancora inedite: When the ship comes in e Only a Pawn in their game. Entrambe entrarono nel suo terzo album, sicuramente il più politicamente schierato, dal titolo The Times they are a-changin’, pubblicato nel febbraio dell’anno successivo; dei dieci pezzi che lo compongono solo tre non contengono riferimenti agli eventi d’attualità del periodo. La title track del disco esprime perfettamente la consapevolezza di un passaggio generazionale e l’esigenza di una nuova strada da percorrere libera dagli ideali del passato. In un contesto in cui l’ordine e le gerarchie finora consolidate stavano rapidamente svanendo, Dylan attinse le proprie immagini dai testi biblici e pose il cambiamento come necessario ed inevitabile non risparmiando accuse a tutti i rappresentanti delle autorità tradizionali, dalla famiglia alla politica.

Come gather ’round people
Wherever you roam
And admit that the waters
Around you have grown
And accept it that soon
You’ll be drenched to the bone
If your time to you is worth savin’
Then you better start swimmin’
or you’ll sink like a stone
For the times they are a-changin’
Come writers and critics
Who prophesize with your pen
And keep your eyes wide
The chance won’t come again
And don’t speak too soon
For the wheel’s still in spin
And there’s no tellin’ who that it’s namin’
For the loser now will be later to win
For the times they are a-changin’
Come senators, congressmen
Please heed the call
Don’t stand in the doorway
Don’t block up the hall
For he that gets hurt
Will be he who has stalled
There’s a battle outside and it is ragin’
It’ll soon shake your windows

and rattle your walls
For the times they are a-changin’

 

Come mothers and fathers
Throughout the land
And don’t criticize
What you can’t understand
Your sons and your daughters
Are beyond your command
Your old road is rapidly agin’
Please get out of the new one

if you can’t lend your hand
For the times they are a-changin’

 

The line it is drawn
The curse it is cast
The slow one now
Will later be fast
As the present now
Will later be past
The order is rapidly fadin’
And the first one now will later be last
For the times they are a-changin’

 

Venite intorno gente
dovunque voi vagate
ed ammettete che le acque
attorno a voi stanno crescendo
ed accettate che presto
sarete inzuppati fino all’osso.
E se il tempo per voi rappresenta qualcosa
fareste meglio ad incominciare a nuotare
o affonderete come pietre
perché i tempi stanno cambiando.
Venite scrittori e critici
che profetizzate con le vostre penne
e tenete gli occhi ben aperti
l’occasione non tornerà
e non parlate troppo presto
perché la ruota sta ancora girando
e non c’è nessuno che può dire chi sarà scelto.
Perché il perdente adesso sarà il vincente domani
perché i tempi stanno cambiando.
Venite senatori, membri del congresso
per favore date importanza alla chiamata
e non rimanete sulla porta
non bloccate l’atrio
perché quello che si ferirà
sarà colui che ha cercato di impedire l’entrata
c’è una battaglia fuori e sta infuriando.
Presto scuoterà le vostre finestre
e farà tremare i vostri muri
perché i tempi stanno cambiando.
 

Venite madri e padri
da ogni parte del Paese
e non criticate
quello che non potete capire
i vostri figli e le vostre figlie
sono al dì la dei vostri comandi
la vostra vecchia strada sta invecchiando in fretta.
Per favore andate via dalla nuova
se non potete dare una mano
perché i tempi stanno cambiando.

 

La linea è tracciata
La maledizione è lanciata
Il più lento adesso
Sarà il più veloce poi
Ed il presente adesso
Sarà il passato poi
L’ordine sta rapidamente scomparendo.
Ed il primo ora sarà l’ultimo poi
Perché i tempi stanno cambiando.

 

AR 8255-3KAnche le altre canzoni del disco sono improntate verso toni di accusa e di denuncia più accesi dei lavori precedenti; la speranza di un cambiamento guidato dall’alto, d’altronde, era svanita con l’assassinio di Kennedy nel novembre del 1963 e il conflitto in Vietnam era ormai imminente. La rabbia aveva sostituito l’iniziale illusione e la sfiducia verso l’intera classe politica ne era la dimostrazione più evidente. Canzoni come With God on our side e Only a Pawn in their game sono veri e propri atti d’accusa verso la classe dirigente. Il primo è una rilettura ironica dell’intera storia americana e dei massacri compiuti nell’idea patriottica e trionfalistica che Dio è dalla nostra parte! il secondo utilizza come spunto di riflessione l’omicidio di Medgar Evers, attivista politico afroamericano, per dimostrare come la colpa non debba essere attribuita al singolo assassino, ma al clima di odio e disprezzo alimentato dall’educazione tipica americana ancora influenzata da una troppo forte componente razziale.

He’s taught in his school
From the start by the rule
That the laws are with him
To protect his white skin
To keep up his hate
So he never thinks straight
‘Bout the shape that he’s in
But it ain’t him to blame
He’s only a pawn in their game.
And he’s taught how to walk in a pack
Shoot in the back
With his fist in a clinch
To hang and to lynch
To hide ‘neath the hood
To kill with no pain
Like a dog on a chain
He ain’t got no name
But it ain’t him to blame
He’s only a pawn in their game.
Gli viene insegnato a scuola
sin dall’inizio come una regola
che le leggi sono con lui
per proteggere la sua pelle bianca
per tenere alto il suo odio
così che non la pensi mai in modo giusto
sulla condizione in cui si trova
Ma non è lui da incolpare
È solo una pedina nel loro gioco.
E gli viene insegnato come far parte di un branco
a sparare alla schiena
con i pugni stretti
ad impiccare e linciare
a nascondersi sotto il cappuccio
per uccidere senza dolore
come un cane alla catena
Non ha alcun nome
Ma non è da incolpare
È solo una pedina nel loro gioco.

Altri episodi significativi del disco sono la canzone Ballad of Hollis Brown, cronaca dell’omicidio della moglie e dei sei figli da parte di un contadino del Sud Dakota in un disperato atto di denuncia della propria povertà, The lonesome death of Hattie Carrol, storia di una donna di colore uccisa con un bastone da un giovanotto di buona famiglia condannato alla ridicola pena di sei mesi, e When the ship comes in, nuovo inno di protesta che ripropone l’inevitabilità di un imminente cambiamento attraverso l’immagine, ancora una volta biblica, della nave che ritorna in porto.

Oh the foes will rise
With the sleep still in their eyes
And they’ll jerk from their beds
and think they’re dreamin’
But they’ll pinch themselves and squeal
And know that it’s for real
The hour when the ship comes in
Then they’ll raise their hands
Sayin’ we’ll meet all your demands
But we’ll shout from the bow
your days are numbered
And like Pharoah’s tribe
They’ll be drownded in the tide
And like Goliath, they’ll be conquered
Oh i nemici si alzeranno
Con il sonno ancora negli occhi
E dai letti si scuoteranno
e penseranno di stare sognando.
Ma si pizzicheranno e grideranno
E sapranno che è vero,
l’ora in cui la nave arriverà in porto.
Allora alzeranno le mani
Dicendo “faremo ciò che volete”,
ma noi dalla prua grideremo
“i vostri giorni sono contati”.
E come il popolo del Faraone,
saranno sommersi dalla marea,
e come Golia saranno vinti.

image037Testi di insindacabile impegno politico, partecipazione attiva alle manifestazioni di protesta e consacrazioni unanimi ricevute dalla critica e dagli stessi esponenti della musica folk legarono indissolubilmente Dylan ad un certo tipo di canzone e ad un preciso periodo storico. La sua dedizione alla causa appare dunque totale e indiscutibile e la sua elevazione a simbolo ed oracolo del movimento perfettamente autorizzata dal tono delle sue composizioni, volutamente allusive e volte ad incoraggiare un concreto impegno. A queste qualità deve essere poi aggiunta la dote di utilizzare le suggestioni, i personaggi, le radici e i temi della tradizione americana reinventandoli e inserendoli nel contesto storico di quegli anni, utilizzandoli, così, come lente per analizzare il presente. Non so esiste davvero un immaginario collettivo come sostiene Jung, ma se esiste Dylan l’ha colpito in pieno affermò l’amico Dave van Ronk. Apparentemente a ragione, quindi, i seguaci più fedeli del folk e i cantanti stessi si aspettavano da Dylan una sempre maggiore partecipazione alla causa e una continua dedizione verso gli intenti di protesta e di denuncia, attraverso l’assunzione di posizioni nette nelle questioni di importanza nazionale che nascevano con lo scoppio della guerra del Vietnam e l’influenza sempre crescente dei movimenti di contestazione giovanile universitari.

Parte seconda: It ain’t me you’re looking for

31 ottobre 1964. La notte di Halloween Bob Dylan tenne un concerto alla Philarmonic Hall di New York. Armato diimage039 chitarra, armonica e voce e di ottimo umore, l’artista eseguì ben 19 pezzi per un totale di quasi tre ore di concerto; il finale fu cantato a due voci con l’amica Joan Baez e le canzoni proposte appartenevano al repertorio impegnato dell’autore, con alcune esibizioni memorabili come Talkin’ John Birch parnoid e The times they are a-changin’, con cui aprì il concerto. Durante la prima parte dell’esibizione, accorgendosi di avere la chitarra terribilmente scordata, Dylan cercò di prendere tempo dicendo che le sue canzoni non volevano spaventare nessuno, in fondo era la notte di Halloween e lui indossava soltanto la sua maschera di Bob Dylan. La folla rise apertamente ma la battuta era seria. Bob Dylan, nato Zimmerman, aveva coltivato brillantemente la propria fama, ma egli in realtà era un entertainer, un uomo dietro una maschera, un grande entertainer forse, ma di base semplicemente quello, qualcuno che metteva insieme parole, per quanto esse fossero sbalorditive. L’onere di essere qualcosa d’altro, un guru, un teorico politico, “la voce di una generazione”, era davvero troppo da chiedere a chiunque[13].

Il pubblico sembrava non capire tutto questo e nemmeno la scena musicale del folk volle aprire gli occhi sul cambiamento che era già incorso nelle canzoni di Dylan con l’uscita del suo nuovo e quarto disco, pubblicato due mesi prima del concerto al Philarmonic Hall, Another side of Bob Dylan. Nella primavera del 1964 il cantante aveva intrapreso un viaggio in macchina con tre amici verso San Francisco al fine di ritrovare uno spazio più personale e separarsi per un po’ dalla soffocante atmosfera di New York e delle continue manifestazioni che richiedevano la sua presenza. Al termine dell’esperienza ritornò in studio di registrazione e incise il suo nuovo lavoro.

I don’t want to fake you out
Take or shake or forsake you out
I ain’t lookin’ for you to feel like me
See like me or be like me
All I really want to do
Is, baby, be friends with you
Non voglio svicolare da te,
prenderti, scuoterti e abbandonarti,
non voglio che tu ti senta come me,
veda come me o sia come me.
Tutto quello che voglio veramente fare
È, baby, esserti amico.

image041L’inizio è folgorante, come al solito. Fingendo di rivolgersi ad una ragazza, Dylan ridefinisce lo scopo delle sue canzoni, investendo direttamente l’ascoltatore e rifiutando tutti i ruoli di profeta e guida morale impostigli, si dichiara semplicemente amico, con un’evidente proclamazione di disimpegno. Il brano più esemplificativo della richiesta dell’artista di essere sciolto da ogni pressione e strumentalizzazione politica è, però, My back pages, un resoconto degli anni immediatamente passati sviluppato attraverso immagini allegoriche difficili da decifrare, in cui Dylan rinnega il suo coinvolgimento politico e si svincola da ogni definizione impostogli. Le sei strofe che compongono il brano finiscono tutte con la stessa sentenza e l’autore riesce a cogliere, con estrema lungimiranza, tutti i limiti della contestazione giovanile, che si sviluppò anche negli anni successivi, evidenziando la banalizzazione della situazione e la forzatura imposta dal chiedere di schierarsi dall’una o dall’altra parte, in un’ipotetica lotta tra buoni e cattivi che non riusciva a rispecchiare la realtà.

In a soldier’s stance, I aimed my hand
At the mongrel dogs who teach
Fearing not that I’d become my enemy
In the instant that I preach
My pathway led by confusion boats
Mutiny from stern to bow
Ah, but I was so much older then
I’m younger than that now
Yes, my guard stood hard when abstract threats
Too noble to neglect
Deceived me into thinking
I had something to protect
Good and bad, I define these terms
Quite clear, no doubt, somehow
Ah, but I was so much older then
I’m younger than that now
In posa militare, puntavo la mano
verso quei cani bastardi che insegnavano
non temendo che sarei diventato il mio nemico
nel momento in cui avrei cominciato a pontificare
La mia esistenza guidata da battelli in confusione
ammutinati da poppa a prua.
Ah, ma ero molto più vecchio allora,
sono molto più giovane adesso.
Sì, restavo in guardia quando minacce astratte
troppo nobili per essere ignorate
mi ingannarono portandomi a pensare
che avevo qualcosa da proteggere
Bene e male, io definivo questi termini
in maniera chiara, senza dubbi, in qualche modo.
Ah, ma ero molto più vecchio allora,
sono molto più giovane adesso.

Lo conoscete è il vostro: Bob Dylan. È difficile immaginare un’introduzione più ironica image043delle parole scelte da Ronnie Gilbert del gruppo folk The Weavers per introdurre Dylan al Festival di Newport del 1964. “Che cosa folle da dire!” scrisse il cantante nella sua autobiografia, Chronicles; “per quanto ne so, non appartengo a nessuno, né allora né oggi.” L’esibizione fu egualmente un successo, ma la scelta di alcuni brani suscitò le prime perplessità tra i fedelissimi dell’artista. L’apertura fu affidata all’ironica All I really want to do, sopportata ma non compresa dal pubblico, mentre come finale Dylan scelse di eseguire una nuova canzone, ancora inedita, dal linguaggio criptico e allusivo, in cui l’attualità non compariva minimamente e il cui centro era l’ambigua figura di un certo Mr.Tamburine. Le aspettative della folla nei confronti del nuovo pezzo furono terribilmente deluse, ma la continuità di forma tra le canzoni precedenti e i nuovi pezzi impediva a Dylan di svincolarsi definitivamente e far comprendere la drammatica necessità di libertà espressiva. Presentandosi sempre con la chitarra e l’armonica, l’artista acconsentiva ai fan più ciechi di convincersi che nulla fosse cambiato e che sul palco di fronte a loro si trovasse sempre il profeta di una generazione pronto a combattere al loro fianco per qualsiasi battaglia.

Già nei primi dischi di Dylan, quando il suo impegno politico e la sua vicinanza al movimento di protesta erano dati per scontati, si intravedono degli spunti che superano la contingenza del momento storico e lo stesso autore aveva più volte negato interpretazioni allegoriche dei suoi testi. Un primo esempio è A hard rain’s gonna fall, contenuta nell’album Freewheelin’. La canzone, scritta nei giorni della crisi dei missili di Cuba, preannunciava l’arrivo di un diluvio, la hard rain del titolo, che fu subito inteso come una pioggia atomica. Dylan in prima persona si preoccupò di smentire questa interpretazione:

No, non è una pioggia atomica, è solo una dura pioggia. Non è la pioggia radioattiva. Intendo solamente che qualcosa sta per succedere”

rivelò durante un’intervista radiofonica rendendo così universale la canzone e liberandola dal riferimento all’avvenimento contingente.

“Stare dalla parte di chi lotta non vuol dire necessariamente essere politico[14]”. Dylan T1533291_13 / Bob Dylanpolitico non lo era mai stato, si limitava ad assorbire il clima e le suggestioni che lo circondavano traendone canzoni. Joan Baez, l’amica che accompagnava l’artista in quegli anni esibendosi al suo fianco, rivelò che scriveva testi in continuazione e il più delle volte chiedeva a lei di attribuire loro un significato politico perché, diceva, “quello è il compito del pubblico, io racconto soltanto i miei sogni”. L’esempio più significativo di questa collettiva strumentalizzazione del personaggio Bob Dylan, avallata se non addirittura favorita dall’autore stesso, è la già citata canzone When the ship comes in, dell’album The times they are a-changin’. “Una sera”, racconta la Baez, “eravamo in un albergo dopo un concerto e c’era stato un problema con la prenotazione delle stanze. Io ero già una cantante affermata, ma Bobby era vestito veramente come un barbone e il direttore non voleva concedergli una stanza; si infuriò così tanto che dormì in macchina e la mattina dopo aveva scritto When the ship comes in. Aveva convogliato la propria rabbia verso quel direttore riversandola su un intera classe politica[15]”. “Ricordo che rimase molto scioccato quando gli dissero che Pete Seeger era un comunista,” racconta l’amico e cantautore Dave van Ronk, “non credo nemmeno sapesse bene cosa volesse dire un comunista. Viveva nel più totale disinteresse e paradossalmente era proprio il simbolo della sinistra americana. Allora ci sembrava un ingenuo, forse era molto più maturo di noi[16]”.

image047Nel 1964, tuttavia, i tempi stavano realmente cambiando e la protesta stava assumendo dimensioni sempre più significative. Dalle rivendicazioni dei neri per i diritti civili si passò alle manifestazioni degli studenti universitari che rivendicavano la necessità di un cambiamento generazionale in opposizione alla classe dirigente. Si iniziò a parlare di conformismo come meccanismo alienante che limita le libertà espressive dell’uomo e che deve essere fermato con un’azione concreta. Nel dicembre dello stesso anno, durante la prima occupazione studentesca della storia, lo studente Mario Savio, fondatore del Free Speech Movement di origini italiane, tenne il suo discorso più famoso nel campus universitario di Berkeley in cui proclama:C’è un momento, in cui il funzionamento della macchina diventa così odioso. Vi fa così male al cuore, che non potete prenderne parte, non potete neanche passivamente prenderne parte. E dovete mettere i vostri corpi sopra i macchinari e sopra gli ingranaggi, sopra le leve, sopra tutti i congegni. E dovete farla fermare!”

Nel frattempo il presidente Johnson, eletto dopo l’assassinio di Kennedy, riuscì a far image049approvare il Civil Rights Act che avrebbe dovuto porre fine alle discriminazioni razziali, ma dovette in cambio cedere alle pressioni dei militari e appoggiare l’intervento statunitense in Vietnam, già preparato con l’invio di numerosi contingenti ufficialmente con il ruolo di consiglieri militari. Nel 1954, infatti, la penisola indocinese era stata divisa in due: uno stato comunista a Nord, guidato da Ho Chi Minh, l’altro filo-occidentale a Sud in cui vigeva un regime semidittatoriale. Nel Vietnam del Sud si diffuse un movimento di opposizione armata, il Vietcong, segretamente appoggiato dai comunisti del Nord. Gli Stati Uniti avevano inviato , già dal 1961, questi contingenti ufficialmente per addestrare l’esercito del Vietnam del Sud, ma il loro numero crebbe continuamente fino allo scoppio del conflitto. Nell’agosto del 1964 un attacco dei Vietcong affondò una nave americana e nel marzo dell’anno successivo, senza alcuna dichiarazione di guerra, gli USA iniziarono una serie di bombardamenti sullo stato del Nord dando inizio alla guerra.

Negli Stati Uniti nacque un forte movimento di opposizione caratterizzato da un marcato pacifismo e dall’uso di metodi non violenti, come marce e sit-in. Il primo atto di protesta si verificò proprio nell’università di Berkeley, dove gli studenti bruciarono pubblicamente le lettere di chiamata militare. La combinazione dell’antimperialismo e della protesta studentesca diede vita al movimento hippy, portatore di una nuova moralità e di un diverso stile di vita basato sul rifiuto delle imposizioni tradizionali per una definitiva liberazione dell’individuo.

Caratterizzato dall’uso di droghe allucinogene, di cui si teorizzava la capacità di aprire la mente, il movimento di protesta contro la guerra raggiunse l’apice nel 1967 con una marcia di circa 500.000 verso il Pentagono. L’incapacità di strutturare politicamente l’ondata di dissenso decretò il progressivo sfaldarsi del movimento che, tuttavia, raggiunse comunque una vastissima diffusione ed ebbe una grande influenza nel panorama culturale degli anni ’60.

Dylan Royal Albert Hall

All’inizio del 1965 Dylan partì per una tournée in Inghilterra che culminò con il concerto alla Royal Albert Hall di Londra del 10 maggio e che segnò il definitivo successo internazionale dell’artista. Nel film-documentario Dont Look Back[17] di D.A.Pennebaker, realizzato seguendo il cantante nei suoi spostamenti, emerge però come la figura di Dylan sia sempre più avulsa dalla realtà e lontana dagli avvenimenti che contemporaneamente accadevano in patria e a livello internazionale.

Alle insistenti domande dei giornalisti e dei fan che chiedevano risposte e messaggi politici l’artista rispondeva in modo beffardo ed elusivo, anche a causa dell’eccessivo uso di droghe mai realmente ammesso dal cantante. Alla conferenza stampa che precedeva il concerto finale l’artista si presentò con una grossa lampadina e affermò “Qual è il mio messaggio? Tieni la testa a posto e porta sempre con te una lampadina”. Il rifiuto del ruolo di guida e simbolo attribuitogli dal mondo del folk e dall’opinione pubblica si andava definendo in maniera sempre più precisa e si manifestava nell’opposta tendenza di ribellione contro ogni impegno politico e nella proclamazione dell’assoluta mancanza di qualunque messaggio o significato nelle proprie canzoni.

Parte terza:The ghost of electricity

“Signore e signori, la persona che sta per arrivare ora ha una limitata quantità di tempo… il Bob Dylan plays a Fender Stratocaster electric guitar in 1965suo nome è Bob Dylan”.

Newport Folk Festival 1965, Dylan era ancora una volta il grande atteso della serata, ma la sua presentazione fu decisamente più diffidente dell’anno precedente. L’ovazione del pubblico salutò l’ingresso dell’idolo della musica folk, ma la folla si ammutolì improvvisamente. Dylan imbracciava una chitarra elettrica. Nemmeno il tempo di reagire e la sua nuova band attaccò con la prima canzone ad un volume esageratamente alto perché le attrezzature non erano preparate per strumenti di quel genere. Fischi e urla di protesta accompagnarono i musicisti durante tutta l’esibizione durata poco più di dieci minuti, dopo i quali Dylan abbandonò il palco visibilmente scosso. Si raccontano moltissime versioni differenti dell’accaduto e la ricostruzione degli avvenimenti è pressoché impossibile.

La leggenda vuole che Pete Seeger, rinnegato l’erede, avesse imbracciato un’ascia e avesse cercato di tagliare i cavi dell’alimentazione per porre fine a quel terribile spettacolo. Senza dubbio l’audio era eccessivamente alto e la image053qualità del suono così pessima da rendere impossibile l’ascolto delle parole, ma la reazione della folla e di cantanti stessi fu assolutamente imprevedibile. Dopo quasi un’ora il pubblico fu placato e Dylan ritornò sul palco, visibilmente contrariato, per eseguire due ultime canzoni chitarra e armonica, commiato definitivo al mondo del folk. La rottura con i suoi seguaci e con il movimento di protesta era ormai completata. Quando nel 2002 il cantante fu invitato nuovamente al Festival di Newport decise ironicamente di recarvisi “in incognito” indossando una parrucca e una barba finta.

Le ragioni della reazione della folla furono molteplici. È bene sottolineare come la image055contestazione sia arrivata soltanto da una parte del pubblico e che all’epoca il mondo della musica folk era dominato da una frangia estremista che vedeva semplicemente nella chitarra elettrica un simbolo di tradimento e rifiuto. Il sentimento più forte fu, infatti, la comune sensazione che la svolta elettrica di Dylan fosse dovuta ad una volontà dell’artista di raggiungere un pubblico più ampio e commerciale, abbandonando i temi impegnati delle precedenti canzoni.

Le dichiarazioni raccolte di fan delusi, infatti, utilizzano spesso l’immagine del traditore e di colui che si prostituisce per il successo. Si è visto in realtà come l’abbandono del filone politicamente schierato facesse parte di un percorso più ampio che Dylan andava compiendo alla ricerca di una nuova dimensione artistica che permettesse maggiore libertà espressiva e i cui segnali, anche piuttosto evidenti, erano già stati lanciati. L’incapacità di cogliere questi elementi caratterizzò anche gli altri musicisti che ripudiarono quasi totalmente Dylan così come la sinistra dell’epoca lo bollò come disimpegnato e schiavo delle droghe e del successo.

Dall’album precedente Dylan aveva pubblicato due nuovi dischi. Bringin’ it all back home, uscito nel marzo del 1965, è il primo disco in cui l’artista viene accompagnato da una band elettrica e si compone di due parti nettamente separate, due facciate diverse per toni e contenuti, di cui la prima elettrica e la seconda acustica. Al Festival di Newport Dylan scelse di aprire con la canzone Maggie’s farm, tratta dal lato A del disco, e il brano contiene in effetti un messaggio di protesta e di rifiuto, ma l’obbiettivo questa volta non sono né la classe politica né l’imperialismo americano.

I ain’t gonna work on Maggie’s farm no more
No, I ain’t gonna work on Maggie’s farm no more
Well, I try my best
To be just like I am
But everybody wants you
To be just like them
They sing while you slave
and I just get bored
I ain’t gonna work on Maggie’s farm no more
Non lavorerò più alla fattoria di Maggie.
No, non lavorerò più alla fattoria di Maggie.
Bè, provo a fare del mio meglio
per essere come sono,
ma tutti vogliono che tu
sia proprio come loro.
Cantano mentre tu lavori come uno schiavo
ed io comincio ad essere stufo.
Non lavorerò più alla fattoria di Maggie

image059La rabbia verso tutti coloro che hanno cercato di ingabbiare Bob Dylan esplode nella canzone in un urlo liberatorio, in una disperata proclamazione di libertà e nell’abbandono definitivo dell’opprimente orizzonte della canzone d’attualità. Ispirata proprio ad una canzone del primo album del maestro Pete Seeger, Penny’s Farm, la canzone non presenta una struttura melodica innovativa, ma l’arrangiamento elettrico le da quella forza di rottura con le composizioni dylaniane precedenti che l’artista non era riuscito a raggiungere in Another side of Bob Dylan.

Il disco si conclude poi con la dolce ballata It’s all over now, Baby Blue scelta da Dylan per salutare definitivamente il pubblico di Newport una volta tornato sul palco. L’altra canzone scelta fu Mr.Tamburine Man, in cui il protagonista è uno spacciatore di droga, tamburine man in slang americano, che permette all’autore si sfuggire al dolore in un viaggio simbolico attraverso immaginari paesaggi. Il brano rivela le prime sperimentazioni di Dylan con le droghe del tempo, in particolare LSD e allucinogeni, mai ammesse dall’artista, che lo portarono ad assumere comportamenti sempre più strani e scontrosi fino a rinchiudersi in un completo isolamento. Simbolo di questo periodo sono gli occhiali da sole, da cui Dylan non si separava mai, metafora di una divisione fra l’interiorità dell’artista e il mondo esterno.

image057

Il secondo album elettrico della carriera dell’artista uscì negli stessi giorni del Festival di Newport ed è considerato una delle pietre miliari della storia del rock a livello mondiale. Highway 61 Revisted contiene, come prima traccia, la canzone di Dylan più famosa della storia americana[18] e segna l’abbandono definitivo del modello di cantante folk dei primi dischi. L’inizio travolgente di Like a Rolling Stone proiettò Dylan in vetta alle classifiche di vendita, con conseguente disprezzo dei vecchi sostenitori, e segnò per sempre la carriera dell’autore; con i suoi sei minuti il brano si impose come una novità assoluta in un mercato dove le hit non dovevano superare i tre minuti di durata. Il testo descrive la parabola discendente di una ipotetica Miss Lonely, “solitudine” in italiano, che, divorata dal successo e abbandonata, si scopre essere completamente alla deriva, priva di destinazione e indirizzata verso un’inevitabile spirale di degrado senza fine, proprio come una pietra che rotola.

Once upon a time you dressed so fine
You threw the bums a dime
in your prime, didn’t you?
People’d call, say, “Beware doll,
you’re bound to fall”
You thought they were all kiddin’ you
You used to laugh about
Everybody that was hangin’ out
Now you don’t talk so loud
Now you don’t seem so proud
About having to be scrounging for your next meal
How does it feel
How does it feel
To be without a home
Like a complete unknown
Like a rolling stone?
Una volta vestivi così bene
gettavi una moneta ai mendicanti
nel fiore dei tuoi anni non è vero?
La gente ti avvisava “attenta ragazza!”
sei destinata a cadere
tu pensavi che stessero tutti prendendoti in giro
eri solita ridere
di tutti quelli che tentavano di rimanere a galla
ora non parli così forte
ora non sembri così superba
nel tuo dover elemosinare il tuo prossimo pasto
Come ci si sente
come ci si sente
senza una casa
come una completa sconosciuta
come una pietra che rotola?

image061I testi dell’album si contraddistinguono per il linguaggio profondamente visionario e criptico e il ricorrente uso di immagini allusive apparentemente sconnesse tra loro che costituiscono, nel loro insieme, situazioni paradossali e assurde. Tale tecnica narrativa viene esemplificata dalla traccia conclusiva, Desolation Row[19], che, con i suoi dodici minuti, fornisce un brillante affresco di un’altra America, popolata da personaggi letterari e bizzarri che affollano il vicolo che da il nome alla canzone. La scrittura di Dylan raggiunge latitudini altamente poetiche proprio grazie alla totale sconnessione con la realtà storica e contingente che le dona quella forza evocativa e trascendente in grado di caratterizzare la poesia.

Manchester, 1966. Dopo la pubblicazione di Highway 61 Revisted Dylan intraprese un nuovo tour in Inghilterra sperando di sfuggire alle continue contestazioni ricevute in patria. I concerti inglesi avevano una struttura ben precisa: nella prima parte Dylan eseguiva i suoi classici acustici, chitarra e armonica come ai vecchi tempi, privilegiando però i brani degli ultimi album ed eliminando le canzoni più impegnate come Blowin’ in the wind o The times they are a-changin’; nella seconda usciva sul palco accompagnato da una band elettrica per suonare i brani del nuovo repertorio. Quella sera a Manchester gli applausi scroscianti della prima parte avevano lasciato il posto ai fischi e alle contestazione che accompagnavano, come sempre, le pause tra i pezzi della seconda.

image063

Tra gli insulti e le urla del pubblico, e con diverse persone che avevano già lasciato la sala, un Dylan visibilmente seccato si apprestò ad eseguire l’ultima canzone quando, tra il frastuono generale, qualcuno dalle ultime file gridò “Judas!”, seguito da uno scrosciante applauso. Dylan si avvicinò al microfono e, in tono beffardo, replicò “I don’t believe you!”, quindi si girò verso la band sibilando a denti stretti “Play it fucking loud!”. Il batterista Mickey Jones picchiò sul rullante come una raffica di mitra e i musicisti si lanciarono con un boato in “Like a Rolling Stone”[20].

Terminato il tour europeo Bob Dylan rientrò negli Stati Uniti estremamente provato. L’uso continuo di droghe ne aveva minato la stabilità psichica e si rendeva sempre più image065necessario un lungo periodo di riposo, reso, tuttavia, impossibile dall’attenzione mediatica nei confronti dell’artista, intrappolato tra i contestatori accaniti e gli ammiratori idolatri. Il 29 luglio 1966 si sparse una notizia allarmante: Bob Dylan aveva avuto un terribile incidente in moto ed era stato ricoverato in gravissime condizioni. Cosa realmente fosse avvenuto resta tutt’oggi oggetto di discussione.

Secondo i detrattori del cantante l’incidente fu un’invenzione, o comunque di modesta entità, e servì come scusa per allontanare l’attenzione da Dylan e permettergli di disintossicarsi dalle droghe e dal fumo che andavano distruggendogli la voce. Fatto sta che la convalescenza durò venti mesi e quando Dylan ricomparve era profondamente cambiato.

Parte quarta:There must be some way out of here

image067Tra il 15 e il 18 agosto del 1969 a Bethel, nello stato di New York, oltre 400.000 giovani si riversarono nell’enorme prato allestito per ospitare l’imponente Festival di Woodstock. La manifestazione segnò l’apice della cultura hippie e, preannunciata come “tre giorni di pace e musica”, riunì le band e i cantanti più noti dell’epoca in un’atmosfera volta alla cooperazione, alla serenità e all’amore. All’evento parteciparono anche alcuni tra i principali esponenti della musica folk, come l’amica di Dylan Joan Baez, con la quale i rapporti si erano interrotti da tempo, e rappresentò la conclusione di un decennio di proteste iniziate con le rivendicazioni della popolazione afroamericana e culminato nel fronte comune contro la guerra in Vietnam. Bob Dylan non venne mai ufficialmente invitato al Festival, ma espresse a più riprese il desiderio di prendervi parte. A pochi giorni dalla manifestazione, tuttavia, alcuni gruppi di contestatori presero di mira la casa dell’artista, situata nelle vicinanze di Woodstock, che decise di partire per l’Inghilterra con tutta la famiglia e rinunciare all’evento.

La frattura con la contestazione giovanile era ormai insanabile e troppe erano le colpe che gli estremisti rimproveravano a Dylan. Dopo l’incidente motociclistico del 1966 e la lunga convalescenza il cantante era ricomparso sulla scena musicale, ma i dischi pubblicati sembravano provenire da un’altra epoca. John Wesley Harding e Nashville Skyline, usciti rispettivamente nel 1967 e nel 1969, proponevano

“un uomo profondamente cambiato, un barbuto poeta biblico, dalle parabole acustiche che sembrano venire da un altro secolo[21]”.

La voce di Dylan era totalmente diversa, addolcita e melodica a causa dell’avere smesso di fumare, e i testi, ricchi di riferimenti evangelici, risultarono totalmente avulsi da qualsiasi contesto storico o sociale. Musicalmente l’artista scelse di avvicinare image069sonorità più country e tradizionali, in Nashville Skyline è presente persino un duetto con Johnny Cash, sorprendendo ancora una volta pubblico e critica.

Gli eccessi del passato sembravano alle spalle e Dylan appariva perfettamente sereno e padrone di sé, ma “le cose che ha da dire non interessavano più nessuno[22]” e i suoi dischi si accontentarono di giudizi mediocri. Forse proprio la ritrovata normalità costituiva l’obiettivo dell’autore che, cambiato dalla paternità e dalla famiglia, aveva chiuso definitivamente la porta sulle contestazioni del passato.

Nel frattempo l’assassinio di Martin Luther King e di Robert Kennedy, fratello dell’ex presidente e candidato democratico alle presidenziali del 1968, dissolsero le molte aspettative, così come l’elezione di Nixon, già collaboratore di McCarthy e acceso anticomunista. I movimenti di protesta degli anni ’60 iniziarono, quindi, a dividersi in piccole associazioni, come quella guidata da Weberman di cui si racconta all’inizio nella premessa, che sperimentavano in prima persona tutta la frustrazione per l’incapacità di apportare un reale cambiamento e cercavano dovunque i responsabili del loro fallimento.

Woodstock

 Dylan, proprio in virtù di quelle accuse di tradimento già rivoltegli in precedenza, fu uno dei bersagli più facili e più colpiti. Il persistere di queste tensioni scoraggiò, dunque, l’artista dal prendere parte al Festival di Woodstock nonostante le sue canzoni furono proposte da altri artisti, ben 18 furono i brani suonati scritti da Dylan, e utilizzate come inni della manifestazione.

image073La frattura tra Bob Dylan e i suoi contestatori non fu mai sanata definitivamente, ma il tempo mostrò con sufficiente evidenza da che parte si trovava la ragione. Dylan scelse comunque di esibirsi al Festival dell’isola di Wright, che si tenne due settimane dopo quello di Woodstock, e l’accoglienza riservatagli fu piuttosto fredda, ma non si registrò nessun tipo di incidente. L’artista, pur esibendosi con i musicisti che lo avevano accompagnato nel tour del 1966, ripropose alcuni brani classici arrangiati in chiave country e molte canzoni dei nuovi album e la sua performance finì per essere dimenticata presto. Nessuno era più in grado di riconoscere in quel predicatore con la barba e la voce melodica il profeta della protesta o il traditore vendutosi al rock.

Conclusione

Pur analizzando la carriera di Bob Dylan soltanto nella prima parte si è potuto vedere come il continuo mutamento sia una costante della vita artistica dell’autore. Da simbolo della canzone di protesta a fantasma di sé stesso dopo la svolta elettrica, fino al nuovo ruolo di poeta biblico, Dylan attraversò l’intero decennio in costante contraddizione con la propria immagine e con quello che il pubblico si aspettava da lui. Nel corso della sua infinita carriera il cantante partito dal Greenwich Village è riuscito ad attraversare moltissime fasi senza mai riuscire ad essere definito compiutamente.

Negli anni ’70 Dylan tornò in tour e abbracciò nuovamente alcune cause politiche come la scarcerazione del pugile Rubin Hurricane Carter, accusato ingiustamente di omicidio e poi rilasciato dopo vent’anni di galera. Nei primi anni ’80 si convertì al cristianesimo e si dedicò al ruolo di predicatore con una serie di album ispirati ai testi sacri per poi ripudiare il tutto con un singolo disco, Infidels, del 1983. Dal 1988 prosegue il Never Ending Tour con la stessa band, che subisce continuamente piccole modifiche, fermandosi solamente per registrare nuovi album.

image075A testimonianza dell’importanza culturale della sua musica, nel 2012, Bob Dylan ha ricevuto la Presidential Medal of Freedom, massima decorazione civile degli Stati Uniti, conferita a coloro che hanno dato “un contributo meritorio speciale per la sicurezza o per gli interessi nazionali degli Stati Uniti, per la pace nel mondo, per la cultura o per altra significativa iniziativa pubblica o privata”.

Tutti coloro che hanno cercato di definire Dylan nel corso degli anni sono stati sconfitti e superati dal tempo e dal successo che il cantante riesce ad ottenere in qualunque veste. Al di là del valore letterario dei suoi testi, testimoniato comunque dal Premio Pulitzer ricevuto nel 2008, l’influenza musicale dell’artista ha attraversato l’intera storia americana ed europea ridefinendo il ruolo di cantautore. L’unico aspetto comune in tutta la produzione dylaniana è proprio la continua capacità di cambiare, di attraversare mode e avvenimenti non rimanendone mai bloccato completamente, ma assimilandoli e facendoli propri.

Bob Dylan è ormai un’icona della musica e non solo grazie all’impossibilità di definirlo ed alla ricercata abilità di sorprendere e contraddirsi senza mai perdere la propria identità. Dylan è coerente nel momento stesso in cui cambia, è un personaggio che scrive il proprio copione; Dylan è la sua storia, il suo passato e il suo futuro, Dylan è eterno.

 

Fonti

BOB DYLAN blues, ballate e canzoni a cura di S.Rizzo con introduzione di F.Pivano edito da Newport Compton Editori per la collana paperbacks poeti nel 1972

Bob Dylan a cura di C.Rizzi edito da Giunti per la collana Atlanti musicali Giunti, 2004

Bob Dylan Ballata a cura di B.Shapiro Edizioni BluesBrothers, 1998

Chronicles – Volume 1 di Bob Dylan edito da Feltrinelli, 2005

Saresti imbarazzato se ti dicessi che ti amo? di Joan Baez edito da Arnoldo Mondadori Editore, 1969

Tarantula di Bob Dylan, 1966, edito in Italia da Feltrinelli

Liner notes dell’album The Freewheelin’ Bob Dylan, Columbia, 1963

Liner notes dell’album The times they are a-changin’, Columbia, 1964

11 Outlined Epitaphs di Bob Dylan, poesia contenuta nelle lines notes dell’album The times they are a-changin’, Columbia, 1964

Liner notes dell’album Bringin’ it alla back home, Columbia, 1965

Liner notes scritte da Tony Glover all’album Live 1966 – The “Royal Albert Hall” Concert, Columbia, 1998

Liner notes scritte Sean Wilentz all’album Live 1964 – Concert at Philarmonic Hall, Columbia, 2004

No Direction Home: Bob Dylan di Martin Scorsese, film-documentario del 2005 distribuito da Paramount

Bob Dylan Dont Look Back di D.A.Pennebaker, film-documentario del 1967 distribuito da Docurama

I’m Not There di T.Heynes e O.Moverman, film biografico del 2007

Good Night, and Good Luck. di G.Clooney, film del 2005

The other side of the mirror: Bob Dylan at the Newport Folk Festival di M.Lerner, film documentario del 2007

Maggie’s Farm – sito italiano di Bob Dylan, diretto e curato da M.Murino http://www.maggiesfarm.eu/

Bob Dylan, sito ufficiale di Bob Dylan http://www.bobdylan.com/us/home

Onda Rock, Bob Dylan, il profeta e la sua maschera, biografia di G.Benzing e recensioni degli album principali http://www.ondarock.it/songwriter/bobdylan.htm

NOTE:


[1] L’episodio è riportato da Fernanda Pivano nell’introduzione al libro BOB DYLAN blues, ballate e canzoni della collana paperbacks poeti, edito da Newton Compton Italiana, 1972.

[2] Trad. “Tutto ciò che posso fare è essere me stesso, chiunque io sia”

[3] dalla biografia di Bob Dylan a cura di G.Benzing presente sul sito www.ondarock.it

[4] Da un’intervista rilasciata per il film-documentario No Direction Home: Bob Dylan di Martin Scorsese distribuito Paramount, 2005

[5] Dall’autobiografia di Dylan Chronicless – Volume 1, edita in Italia da Feltrinelli, 2005

[6] Il caso più famoso è quello del giornalista Edward R.Murrow, protagonista di una campagna accusatrice e obbiettivo di numerose accuse personali rivelatesi infondate. La vicenda è rappresentata nel film Good night, and good luck di George Clooney, 20th Century Fox, 2005

[7] Leggenda vuole che Betsy Ross sia stata la creatrice della prima bandiera americana. cucitrice di Philadelphia, era la sarta personale di George Washington.

[8] Entrambe le registrazioni sono reperibili solo su rari bootleg, come Witmark Demos o Minnesota Tapes

[9] Dichiarazioni presenti nel film-documentario No Direction Home: Bob Dylan di Martin Scorsese distribuito da Paramount, 2005

[10] Da Bob Dylan, Atlanti Musicali Giunti, 2004 a cura di Cesare Rizzi e Michele Murino

[11] Dichiarazioni presenti nel film-documentario No Direction Home: Bob Dylan di Martin Scorsese distribuito da Paramount, 2005

[12] Dall’autobiografia di Dylan Chronicless – Volume 1, edita in Italia da Feltrinelli, 2005

[13] Dalle liner notes dell’album Live 1964 Concert at Philarmonic Hall del 2003 in cui gli episodi raccontati sono ascoltabili in versione rimasterizzata.

[14] Dall’autobiografiaChronicles – Volume 1, edita in Italia da Feltrinelli, 2005

[15] Aneddoto raccontato nel libro di Joan Baez Saresti imbarazzato se ti dicessi che ti amo?, edito in Italia da Mondadori nel 1969

[16] Dichiarazione presente nel film-documentario No Direction Home: Bob Dylan di Martin Scorsese distribuito da Paramount, 2005

[17] Nel 1998 il film è stato selezionato per la preservazione negli Stati Uniti da parte del National Film Registry della Library of Congress come opera significativa sotto l’aspetto culturale, storico ed estetico

[18] La rivista Roliling Stone colloca la canzone al primo posto della classifica delle 500 migliori canzoni di tutti i tempi

[19] Fabrizio de Andrè e Francesco de Gregori scrissero una versione italiana del pezzo intitolata Via della povertà ascoltabile sull’album di De Andrè Canzoni del 1974

[20] Gli eventi sono registrati sull’album Live 1966 The “Royal Albert Hall” Concert del 1985 e visibili sul sito http://vimeo.com

[21] Dalle liner notes di Live 1966 The “Royal Albert Hall” Concert del 1985

[22] Da un giudizio di Clynton Heilin che stroncò Nashville Skyline sulla rivista Rolling Stone

Brian

Amo mangiare, bere, dormire e... Cosa mi distingue da un grosso orso? Pochi peli e l'amore per la musica. Genere preferito? Femminile, naturalmente! PS: sono marito, padre e professore, ma questa è un'altra storia...

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