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THE NATIONAL -MILANO 1/07/13-

The National

Mi porto dietro ancora dei residui positivi dal concerto tenutosi lunedì sera all’ippodromo di Milano, questo significa due cose: o sono le punture di zanzara che ancora tediano il mio corpo oppure i The National ed in particolare la voce baritonale di Matt Berninger hanno fatto breccia dentro di me. Credo proprio sia la seconda ipotesi, anche se devo ammettere che le zanzare, simili ad elicotteri, hanno messo a dura prova la mia resistenza.

Ore 9.30, fanno il loro ingesso sul palco i The National; ciascun componente si posiziona in uno specifico punto, sembrano quasi guidati da una mano invisibile e Matt si aggrappa al microfono che non mollerà per quasi tutto il concerto. Io mi guardo attorno per cercare di cogliere gli sguardi e i gesti d’accoglienza di un pubblico fatto per lo più da giovani Hipster, dalla barba finto-incolta e soffocati in pantaloni super aderenti e con la vita che più alta non si può.

Il pubblico è caldo, ma la band mantiene un non so che di riservatezza; lo spettacolo è quasi nullo (ma questo lo si sapeva) Matt e compagni sembrano nascondersi dietro ad un muro sonoro fatto di chitarra ritmica, batteria e fiati, e che fiati… Veramente il qualcosa in più che mi ha fatto innamorare di questo gruppo.

The National

Si parte forte, si parte con “I Should Live In Salt” per poi passare ad una tenebrosa “Deamons” fino ad arrivare alle urla disperate che intonano “Squalor Victoria”. Sono arrivato molto curioso a questo concerto, ero curioso di verificare se veramente quella voce esisteva, una voce fuori dal comune, una voce capace di entrare dentro e far tanto male, capace di trasmettere un’angoscia reale. Poi ero veramente incuriosito dalle trombe, volevo sentirle ed avere la prova tangibile che quei fiati che da studio sembrano suonati da una forza sovrannaturale, invece esistono realmente. In neanche venti minuti di concerto ho avuto la riprova di entrambe le cose.

Siamo ormai verso la fine del concerto e all’appello mancano dei nomi importanti, quasi come avessero sentito i miei pensieri ecco che partono le note malinconiche del pianoforte; “About Today” e subito dopo “Fake Empire”.

Rimango senza parole.

La stanchezza non si sente più, le zanzare non si sentono più, ciò che si sente è un insieme di suoni magnificamente cuciti assieme dalle note di un pianoforte e dagli echi della tromba.

Ma il regalo più bello è arrivato alla fine. I cinque musicisti si posizionano all’estremità del palco, in riga, sembrano quasi impauriti; ma tutto svanisce non appena si sentono le prime parole di “Vanderly Crybaby Geeks”, suonata acustica e cantata quasi più da noi pubblico che da loro band.

Vi riporto alcune parti del testo:

“Leave your home
Change your name
Live alone
Eat your cake…”

“…All the very best of us
String ourselves up for love
All the very best of us
String ourselves up for love
All the very best of us
String ourselves up for love
All the very best of us
String ourselves up for love…”

“Credo che sia una delle prime canzoni che abbiamo scritto per questo disco e probabilmente abbiamo saputo da subito che ne sarebbe stata l’ultima. Lo spirito è un po’ consolatorio, del tipo ‘tutto andrà a posto, tutto sarà perdonato’; un buon finale. Qualunque cosa succeda, la spiegheremo al mondo, non ti preoccupare; explaining to the geeks è un po’ come dire ‘rilassati, ci penseremo noi’ “.

Basta, ho finito. Sono tornato a casa con un senso di inquietudine, molte domande aperte e pochissime risposte. Questo è l’effetto “National”: la continua ricerca di una serenità umana coincidente con la continua ricerca di una perfezione musicale.

Mario

Mario

Laureato in economia, ma ciò che amo veramente è la musica e provo anche a scriverci qualcosa. “A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata, a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie“ Follow @guerci_mario

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